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Una storia di olio e vino in Sicilia: Feudo Disisa

Non lontano dalla città di Palermo, seguendo la strada che porta verso Monreale si entra nella campagna rigogliosa delle colline che scendono verso l’ampia valle dello Jato. La buona esposizione, l’influenza del mare e la naturale fertilità dei terreni offrono le condizioni ideali per la coltivazione della vite e dell’olivo simboli della ricchezza e della cultura mediterranea. Questa è una terra dalla storia millenaria intrecciata mirabilmente con tradizioni antiche e misteriose leggende.  

Le origini  

Durante la dominazione normanna del XII secolo il Re di Sicilia Guglielmo II detto “Il buono” riappacificò la corona con le città siciliane allora ostili, donando alcuni possedimenti di alto valore agronomico all’Arcivescovo di Monreale per finanziare la ricostruzione del Duomo. Tra questi doni rientrò anche il Feudo Disisa, il cui nome deriva dalla parola araba “Aziz” che significa “la splendida” (termine già utilizzato dagli emiri che venivano dal deserto per definire la bellezza della Conca d’Oro intorno alla città di Palermo, ricca di terreni coltivati, corsi d’acqua e giardini di agrumi). Con l’abolizione dei privilegi feudali e la dismissione dei beni ecclesiastici la proprietà passò al principe di Cassaro finché nel 1867 un antenato della famiglia Di Lorenzo acquistò il terreno di 700 ettari, in parte espropriato con la riforma agraria del secondo dopoguerra. Ad oggi la proprietà si estende per circa 400 ettari.

Il Tesoro di Disisa

Il feudo era così straordinariamente fertile che quando fu donato dal Re Guglielmo II all’Arcivescovado di Monreale tutti conoscevano la bellezza, la fortuna e il mistero:

secondo un’antica leggenda “Lu Bancu di Disisa è un tisoru chi si trova ‘nta li grutti di lu feu di Disisa. Cuntanu l’antichi ca c’è un gran massenti di dinari munita d’oru e d’argentu, e cu’ è chi li pigghia ‘un trova cchiù la porta nèsciri” (che tradotta sarebbe “Il Banco di Disisa è un tesoro che si trova nella grotta del Feudo di Disisa. Raccontano gli antichi che c’è una grande quantità di danari, monete d’oro e d’argento, e chi le prende non trova più la porta d’uscita”).

La storia venne tramandata attraverso diverse menzioni letterarie e ancora oggi risuona nel brano “Lu Bancu di Disisa” del cantautore siciliano Mario Venuti.

La storia aziendale

Mario Di Lorenzo, laureato in Agraria all’Università di Portici negli anni trenta, si dedicò alla tenuta di famiglia ampliando l’estensione dei vigneti e degli oliveti e costruendo la prima cantina destinata a produrre vini da taglio per il mercato francese che rimase aperta fino alla fine degli anni settanta, quando si cominciò a vendere soltanto le uve. Allora i vitigni erano quelli autoctoni di Catarratto, Insolia, Nero d’Avola e Perricone a cui si aggiunse anche il Trebbiano. Negli anni ottanta la produzione venne estesa a varietà internazionali, grazie alla collaborazione con l’Istituto Regionale della Vigna e del Vino. Furono quindi introdotti i vitigni Syrah, Cabernet, Sauvignon, Merlot per una superficie complessiva che raggiungeva i 150 ettari. Negli anni duemila cambiarono gli obiettivi dell’azienda che aprì una nuova cantina per la vendita di vini in bottiglia. Anche per l’olio si decise di seguire la strada del miglioramento qualitativo, incrementando la superficie degli oliveti con la creazione di nuovi impianti di Cerasuola – la varietà più diffusa sul territorio – a cui vennero affiancate altre varietà siciliane come la Biancolilla, la Nocellara del Belice e l’Ogliarola messinese oltre la Kalamata per la produzione di olive da mensa. Si raggiunse una superficie complessiva di 100 ettari, tra vecchi e nuovi impianti che oggi raccolgono molti alberi quasi secolari e altri più giovani di 20 anni di età. Nel 1998 nasce il brand Feudo Disisa per la commercializzazione dell’olio e nel 2005 viene costruito il frantoio aziendale per alzare gli standard qualitativi che tuttora guidano le scelte di mercato.   

L’esperienza nella produzione di oli extravergine

Mario Di Lorenzo – attuale proprietario dell’azienda assieme al padre Renato, alla madre Maria Paola e alla sorella Laura – racconta che la qualità ormai consolidata nella produzione di extravergini è frutto dell’esperienza e della formazione professionale. Le difficoltà più grandi affrontate nel passato hanno riguardato la gestione della raccolta delle uve e delle olive, che inizialmente avveniva in tempi diversi perché la vendemmia non si concludeva prima della fine di ottobre:

“La raccolta delle olive iniziava dopo la vendemmia a metà novembre e si portava avanti fino a gennaio, a volte anche febbraio. Oggi è cambiato tutto e iniziamo a raccogliere a fine settembre perché per fare la qualità è vero che il frantoio proprio aiuta ma bisogna raccogliere i frutti nel momento opportuno, quando possono dare il meglio degli aromi e delle sostanze polifenoliche nella molitura che qui avviene immediatamente”.

Se la raccolta delle uve è stata semplificata e ottimizzata dalla meccanicizzazione dei processi, purtroppo quella delle olive è rimasta di fatto manuale, con tutte la problematiche derivanti dalla sempre meno reperibilità della manodopera specializzata.  

La gestione degli oliveti è stata convertita al biologico, con un’azione di monitoraggio e prevenzione contro gli attacchi della mosca olearia che in questa zona incidono poco, grazie all’ottima ventilazione e alle escursioni termiche importanti. I terreni vengono arricchiti di concimazioni organiche e per gli impianti più giovani sono stati predisposti sistemi di irrigazione a goccia per evitare lo stress idrico alle piante.

Anche nel frantoio c’è voluto del tempo per capire come tarare al meglio i macchinari nell’estrazione di oli che fossero carichi di polifenoli ma al tempo stesso equilibrati:

“All’inizio lavoravamo con un sistema di estrazione a tre fasi, poi passammo al due fasi senza aggiunta di acqua ma un anno, in parte anche a causa dell’annata e della raccolta troppo precoce, ottenemmo un olio così astringente, amaro e piccante che a fatica riuscimmo ad accontentare i clienti storici. Oggi, con le conoscenze che abbiamo maturato, siamo tornati a lavorare con il due fasi ma il mercato è anche più pronto rispetto al passato ad accettare oli amari e piccanti, anche se la nostra Cerasuola generalmente dà vita ad oli abbastanza morbidi ed eleganti sul palato”.

Ed effettivamente quasi tutto l’olio prodotto viaggia verso mercati esteri – soprattutto Francia, Giappone ed Inghilterra – che apprezzano il lavoro della famiglia Di Lorenzo:

“A fine raccolta ci riuniamo in famiglia per assaggiare tutti gli oli e decidere le destinazioni. Mia madre è stata la prima ad iscriversi anni fa a un corso di assaggio professionale ed è proprio intorno al tavolo, con tutti i bicchieri davanti, che ci confrontiamo con i nostri più grandi acquirenti internazionali”.

La degustazione

L’ultima campagna di raccolta si è conclusa con grande soddisfazione. La siccità sofferta in gran parte d’Italia durante l’estate non è stata avvertita nell’areale di Disisa che anzi ha beneficiato di buone temperature negli oliveti più giovani – sostenuti comunque da sistemi di irrigazione – ma anche in quelli storici. La maturazione delle olive è stata equilibrata e la raccolta ha dato un giusto rapporto tra resa e qualità.  

Disisa extra vergine di oliva bio

La varietà storica e più diffusa è la Cerasuola, che meglio si è adattata nel tempo alle condizioni pedoclimatiche nel versante occidentale della Sicilia. Questa oliva, raccolta ancora verde, viene franta per la produzione di un monovarietale di pregiata qualità dal fruttato medio in cui si riconoscono sentori erbacei, di pomodoro verde e cardo selvatico mentre il gusto resta amabile ed elegante. Quando viene raccolta più matura si ottiene un extravergine dai toni più morbidi, con sensazioni nette di pomodoro rosso ed erbe aromatiche (timo e origano fresco). Versatile nell’utilizzo in cucina, esalta i sapori tipici delle ricette tradizionali a base di pesce, carni bianche e verdure. Da provare sull’insalata di gamberi e arance.

Tesoro

Tesoro, il cui nome si ispira al “Bancu di Disisa”, è l’olio extravergine di oliva del territorio che si estende tra la Valle del Belice e dello Jato, prodotto da un elegante blend di Cerasuola, Biancolilla – varietà autofertile tra le più antiche, che in questa zona viene identificata come Buscionetto – e Nocellara del Belice, varietà dalla pezzatura grossa molto diffusa nel Trapanese, certificata dalla DOP omonima e meglio conosciuta come Oliva di Castevetrano.

All’olfatto si distingue per l’amabile avvolgenza dei profumi di erba appena falciata e pomodoro verde. Le note gradevolmente persistenti dell’amaro e del piccante suggeriscono l’accostamento a piatti saporiti come carni rosse, zuppe di legumi oppure pesci dalla consistenza carnosa.

I condimenti

Completa l’offerta aziendale la linea dei condimenti a base di olio extravergine di oliva e spezie (rosmarino, peperoncino, aglio, menta e basilico). In particolare quello al basilico sorprende per l’intensa freschezza aromatica. Gli agrumati (mandarino, limone) vengono ottenuti direttamente nel frantoio aziendale verso la fine della raccolta con una tecnica particolare che consente di frangere contemporaneamente le olive con gli agrumi coltivati nella tenuta di Monreale. Possono essere utilizzati per la preparazione di piatti a base di pesce ma ancora meglio nelle ricette dolci della tradizione.

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